lunedì 30 luglio 2012

ho visto


Ho visto che al teatro Argentina, in largo di Torre Argentina c’è uno spettacolo di Beckett. Ho visto che al teatro Argentina danno Aspettando Godot, allora chiamo il teatro e mi dicono che ci sono ancora pochi biglietti liberi e ci sono disponibili solo due giorni perché per gli altri dieci giorni di spettacolo c’è il tutto esaurito. Mi dicono che il biglietto costa tanto ma è una compagnia importante che mette in scena un testo importante in un importante teatro romano. Mi convincono e decido di comprare il biglietto. In fondo ho sempre letto e amato Beckett quindi non posso perdermi una compagnia importante che mette in scena un testo importante in un importante teatro romano.
Arrivo al teatro con tre quarti d’anticipo per paura di fare tardi, non ho mai capito perché devo presentarmi sempre molto prima dell’inizio di qualsiasi cosa vada a vedere, teatro, cinema, sport, concerti, letture, presentazioni, mostre. Arrivo sempre almeno mezz’ora prima e non so mai come fare a passare il tempo.
C’è molta gente di fronte al teatro, tutti ben preparati per la serata, ci sono molte vecchie in pelliccia, dei giovani con le scarpe di pitone, molti vecchi con il pastrano, dei giovani con le clark, vari vecchi col bastone, dei giovani con i caschi in mano.
Il teatro è molto bello, fa un caldo che si muore, ma si sa, le persone anziane hanno bisogno di stare al caldo.
Inizia lo spettacolo, Vladimiro e Estragone nell’attesa parlano, urlano, dormono, mangiano, ridono, piangono. Anch’io aspetto Godot.
Non c’è nulla di assurdo in tutto questo, penso, tutte le parole di Beckett hanno un senso denso, chiaro, definito. Il pubblico del teatro Argentina non la pensa come me, a volte ho l’impressione che il pubblico del teatro Argentina non pensi affatto.
Non sopporto la gente che ride a sproposito, soprattutto a teatro. Non capisco cosa ci sia da ridere quando Didì e Gogo pensano di impiccarsi, a me viene da piangere mentre ascolto Beckett, e questa platea del cazzo ride e il loro riso cretino insieme all’angoscia di Beckett mi rendono la situazione insopportabile. Voglio andare a casa a leggere Beckett da solo senza tutta questa gente intorno, ma decido di rimanere. Gente che ride senza saperne la ragione, gente che va a teatro per il solo fatto che è abituata ad andare a teatro ma del teatro in generale, e in particolare del teatro di Beckett, non capisce nulla. E forse anche il teatro stesso si è adeguato alle persone che lo frequentano, rendendo tutto ridicolo, perché il pubblico ha bisogno di questo ansiogeno senso del ridicolo e questo il teatro propone e il pubblico esce felice.
Finito lo spettacolo applaudo, osservo con attenzione le facce delle persone felici che si alzano dalle poltrone.
Esco, allora andiamo?, mi chiedo.
Andiamo, mi rispondo, tanto Godot non viene.

lunedì 23 luglio 2012

ffiaba

C'era una volta un uomo che si chiamava Semenov. Una volta Semenov andò a passeggio e perse il fazzoletto da naso. Semenov si mise a cercare il fazzoletto da naso e perse il berretto. Si mise a cercare il berretto e perse la giubba. Si mise a cercare la giubba e perse gli stivali.
"Be'," disse Semenov "finirò per perdere tutto. E' meglio che me ne torni a casa".
Semenov si avviò verso casa e si smarrì.
"No," disse Semenov "è meglio che mi sieda per un po'".
Semenov si sedette su una piccola pietra e si addormentò.
Daniil Charms, Casi, Adelphi, 2008

martedì 17 luglio 2012

scoprendosi

Scoprendosi senza soldi e come nudo davanti all'esistenza, gli veniva voglia di bruciare la casa o alternativamente di morire secco. Così grande e grosso che faceva soggezione a tutti, era l'uomo più pungolato da nostra sorella Angoscia.
Gianni Celati, Costumi degli italiani 2, Quodlibet, 2008

mercoledì 11 luglio 2012

tutti

Tutti i giorni in autobus per andare al lavoro, tutti che mi fissano con lo stesso sguardo, tutti che sembrano pensare che li fisso con lo stesso sguardo. Tutti i giorni sull'autobus per tornare a casa dopo il lavoro, tutti che mi fissano con lo stesso sguardo, tutti che sembrano pensare che li fisso con lo stesso sguardo. Era meglio quando andavo al lavoro in bicicletta.

martedì 3 luglio 2012

nessuno si lamenta

Nessuno si lamenta in modo così fastidioso quanto l'imprenditore veneto, e vicentino in particolare, che si lamenta sempre e comunque, indipendentemente da come vadano effettivamente le cose. E sempre con quel tono, con quell'atteggiamento, insieme arrogante e servilmente umile, che la lingua, o anche solo la cadenza veneta, e vicentina in particolare, asseconda così bene. Nessuno al mondo si lamenta in modo così fastidioso come i vicentini, penso, e, tra i vicentini, nessuno si lamenta tanto spesso e in modo tanto fastidioso di come si lamentano, sempre e di continuo, i cosiddetti imprenditori vicentini, che sono i campioni riconosciuti del lamento alla vicentina.
Vitaliano Trevisan, Il ponte, Einaudi, 2007