Ogni mattina la stessa storia! - grida mio padre ogni mattina. E mentre s'affretta per il corridoio, si infila la camicia dentro i pantaloni, si abbottona gli abiti partendo dal basso, spingendo prima i bottoni da un lato delle patta negli occhielli dell'altro lato della patta, fin su all'altezza della cintola, e spinge questo bottone nel suo occhiello, spingendo di seguito i bottoni della camicia negli occhielli della camicia dal basso verso l'alto in direzione del colletto. E sempre al momento di chiudere il bottone, quando è giunto al più alto, al bottone del colletto, e mentre mia madre è intenta a versargli attraverso il colino il caffè nella scodella, questo bottone non vuole entrare nell'occhiello, e lui grida: - Il meno che un uomo può chiedere ad un bottone è: che entri nell'occhiello!
Gisela Elsner, I nani giganti, Einaudi, 1965
sabato 22 dicembre 2012
venerdì 14 dicembre 2012
andiamo
Andiamo
via un fine settimana.
Va bene. E dove?
A Berlino?
Va bene. E perché a Berlino?
Perché io ci ho vissuto e ho tanti amici che ci possono ospitare e perché tu ci sei stato qualche volta e mi hai detto che ti piace.
Non l’ho mai detto.
Sì invece.
Va bene. Sì, mi piace.
Va bene. E dove?
A Berlino?
Va bene. E perché a Berlino?
Perché io ci ho vissuto e ho tanti amici che ci possono ospitare e perché tu ci sei stato qualche volta e mi hai detto che ti piace.
Non l’ho mai detto.
Sì invece.
Va bene. Sì, mi piace.
E
quindi, ho detto, andiamo a Berlino per qualche giorno che costa poco andare lì
e poi tu c’hai pure i tuoi amici che ci possono ospitare, ho aggiunto.
Va
bene, allora faccio il biglietto.
Va bene.
E dopo queste parole me ne sono andato a letto e ho cominciato a pensare alle solite cose che penso prima dormire e poi a Berlino e a come è facile raggiungerla con le cosiddette compagnie a basso costo che poi questo basso costo è tutto relativo, e a tutte le persone che conoscevo a Berlino, ma non mi è venuto in mente nessuno.
E allora mi sono messo a pensare a quanto è bello il museo di Pergamon, e ho pensato a come cavolo hanno fatto quei tedeschi a portare a Berlino la porta di Babilonia che fa impressione solo a vederla, e ho pensato che non è stata proprio una bella cosa andare lì a Babilonia, smontare la porta e portarla via.
E poi mi sono messo a pensare che qualcuno l’ha pure costruita in non so quanto tempo, e questa cosa mi metteva i brividi e l’altra volta che c’ero andato, là davanti, mi veniva quasi da piangere ma c’erano dei giapponesi con le loro macchine fotografiche, e non mi piaceva l’idea di finire in qualche pagina facebook di turisti giapponesi a Berlino mentre piangevo, e allora mi sono tenuto e poi mi sono sfogato davanti una birra rigorosamente tedesca. Perché a Berlino si bevono birre rigorosamente tedesche o meglio berlinesi. Che poi l’aggettivo berlinese non saprei neanche bene come spiegarlo visto che penso che voglia dire tutto e il contrario di tutto, perché a Berlino è proprio questo che può accadere, tutto o il contrario di tutto.
E dopo il Pergamon ho pensato a un quartiere che è Mitte e a un caffè che si chiama Zapata e alle centinaia di birre che ci ho bevuto e alla musica che ci suonano dentro e alla gente dal vago aspetto internazionale che ci ho incontrato. Che poi Mitte una volta era un quartiere dell’Est e mi piace pensare di tornare in un posto cancellato dalla storia - dal’altra parte quelli dell’Est hanno perso e quelli dell’ovest li hanno resi uguali a loro, e ormai non si vede nessuna differenza tra le due parti tolto il fatto che nei quartieri periferici dell’Est è pieno di neonazisti che ce l’hanno con il mondo e che menano le mani e hanno delle mani belle grosse.
Poi ho pensato che a Berlino sarei andato in giro in bici che non è come andare in giro in bici qui, sarei andato a Tempelhof che prima era un aeroporto e ora invece è un bel parco e mi so detto che in Germania fanno i parchi dove c’erano gli aeroporti mentre qui da noi spesso fanno il contrario.
E poi ho pensato a un po’ di locali a Prenzlauerberg che mi sembrava fosse il quartiere dei giovani e degli artisti anche se, mi sono detto, quando sono andato a Berlino quasi tutti mi sembrano giovani e artisti che fanno tanti figli che poi portano al parco Tempelhof o in qualche altro parco e tutti sembrano non avere un cazzo da fare e sono, con ogni evidenza, artisti e pensatori oppure gli piace raccontare che sono questa cosa qui.
Poi mi sono ricordato che una volta ero stato in un posto che si chiamava Tacheles che era una specie di centro sociale, ma che ormai era chiuso e che mi sarebbe piaciuto tornarci così perché quando si torna in una città è bello tornare nei locali che sono una cosa diversa dai musei e dalle piazze e dalle strade. Sono spazi un po’ più intimi e anche se a volte sono enormi mi danno la sensazione di qualcosa di familiare più della strada di casa mia. E allora ho pensato che mi sarei inventato un posto e che avrei immaginato di esserci già stato perché il bello del viaggio è proprio questo, dare ai luoghi i significati che vogliamo mentre qui da noi questa cosa risulta un po’ più difficile perché sono i significati reali che prendono il sopravvento sulla nostra fantasia.
Poi quella notte si è fatto un po’ tardi a forza di pensare a Berlino anche perché in tutto quel discorso mentale che mi sono fatto ho visto un sacco di cose della città e ho preso almeno dieci volte la metro, tre volte il tram, due autobus e una volta il taxi.
Il giorno dopo mi sono svegliato e ho subito chiamato Francesca.
Allora, hai fatto il biglietto per Berlino?
No. Ho fatto un biglietto per Parigi.
Perché ci sei stato qualche volta e mi hai detto che ti piace.
Non l’ho mai detto.
Sì invece.
Va bene. Sì, mi piace.
E quindi, ho detto, andiamo a Parigi per qualche giorno che costa poco andare lì e poi tu c’hai pure i tuoi amici che ci possono ospitare, ho aggiunto.
Va bene, allora faccio il biglietto.
Va bene.
E dopo queste parole mi sono seduto sul divano e ho cominciato a pensare alle solite cose che penso prima di andare in ufficio e poi a Parigi e a come è facile raggiungerla con le cosiddette compagnie a basso costo che poi questo basso costo è tutto relativo, e a tutte le persone che conoscevo a Parigi ma non mi è venuto in mente nessuno.
Va bene.
E dopo queste parole me ne sono andato a letto e ho cominciato a pensare alle solite cose che penso prima dormire e poi a Berlino e a come è facile raggiungerla con le cosiddette compagnie a basso costo che poi questo basso costo è tutto relativo, e a tutte le persone che conoscevo a Berlino, ma non mi è venuto in mente nessuno.
E allora mi sono messo a pensare a quanto è bello il museo di Pergamon, e ho pensato a come cavolo hanno fatto quei tedeschi a portare a Berlino la porta di Babilonia che fa impressione solo a vederla, e ho pensato che non è stata proprio una bella cosa andare lì a Babilonia, smontare la porta e portarla via.
E poi mi sono messo a pensare che qualcuno l’ha pure costruita in non so quanto tempo, e questa cosa mi metteva i brividi e l’altra volta che c’ero andato, là davanti, mi veniva quasi da piangere ma c’erano dei giapponesi con le loro macchine fotografiche, e non mi piaceva l’idea di finire in qualche pagina facebook di turisti giapponesi a Berlino mentre piangevo, e allora mi sono tenuto e poi mi sono sfogato davanti una birra rigorosamente tedesca. Perché a Berlino si bevono birre rigorosamente tedesche o meglio berlinesi. Che poi l’aggettivo berlinese non saprei neanche bene come spiegarlo visto che penso che voglia dire tutto e il contrario di tutto, perché a Berlino è proprio questo che può accadere, tutto o il contrario di tutto.
E dopo il Pergamon ho pensato a un quartiere che è Mitte e a un caffè che si chiama Zapata e alle centinaia di birre che ci ho bevuto e alla musica che ci suonano dentro e alla gente dal vago aspetto internazionale che ci ho incontrato. Che poi Mitte una volta era un quartiere dell’Est e mi piace pensare di tornare in un posto cancellato dalla storia - dal’altra parte quelli dell’Est hanno perso e quelli dell’ovest li hanno resi uguali a loro, e ormai non si vede nessuna differenza tra le due parti tolto il fatto che nei quartieri periferici dell’Est è pieno di neonazisti che ce l’hanno con il mondo e che menano le mani e hanno delle mani belle grosse.
Poi ho pensato che a Berlino sarei andato in giro in bici che non è come andare in giro in bici qui, sarei andato a Tempelhof che prima era un aeroporto e ora invece è un bel parco e mi so detto che in Germania fanno i parchi dove c’erano gli aeroporti mentre qui da noi spesso fanno il contrario.
E poi ho pensato a un po’ di locali a Prenzlauerberg che mi sembrava fosse il quartiere dei giovani e degli artisti anche se, mi sono detto, quando sono andato a Berlino quasi tutti mi sembrano giovani e artisti che fanno tanti figli che poi portano al parco Tempelhof o in qualche altro parco e tutti sembrano non avere un cazzo da fare e sono, con ogni evidenza, artisti e pensatori oppure gli piace raccontare che sono questa cosa qui.
Poi mi sono ricordato che una volta ero stato in un posto che si chiamava Tacheles che era una specie di centro sociale, ma che ormai era chiuso e che mi sarebbe piaciuto tornarci così perché quando si torna in una città è bello tornare nei locali che sono una cosa diversa dai musei e dalle piazze e dalle strade. Sono spazi un po’ più intimi e anche se a volte sono enormi mi danno la sensazione di qualcosa di familiare più della strada di casa mia. E allora ho pensato che mi sarei inventato un posto e che avrei immaginato di esserci già stato perché il bello del viaggio è proprio questo, dare ai luoghi i significati che vogliamo mentre qui da noi questa cosa risulta un po’ più difficile perché sono i significati reali che prendono il sopravvento sulla nostra fantasia.
Poi quella notte si è fatto un po’ tardi a forza di pensare a Berlino anche perché in tutto quel discorso mentale che mi sono fatto ho visto un sacco di cose della città e ho preso almeno dieci volte la metro, tre volte il tram, due autobus e una volta il taxi.
Il giorno dopo mi sono svegliato e ho subito chiamato Francesca.
Allora, hai fatto il biglietto per Berlino?
No. Ho fatto un biglietto per Parigi.
Perché ci sei stato qualche volta e mi hai detto che ti piace.
Non l’ho mai detto.
Sì invece.
Va bene. Sì, mi piace.
E quindi, ho detto, andiamo a Parigi per qualche giorno che costa poco andare lì e poi tu c’hai pure i tuoi amici che ci possono ospitare, ho aggiunto.
Va bene, allora faccio il biglietto.
Va bene.
E dopo queste parole mi sono seduto sul divano e ho cominciato a pensare alle solite cose che penso prima di andare in ufficio e poi a Parigi e a come è facile raggiungerla con le cosiddette compagnie a basso costo che poi questo basso costo è tutto relativo, e a tutte le persone che conoscevo a Parigi ma non mi è venuto in mente nessuno.
martedì 11 dicembre 2012
e si avvicina
Questo fatto che si avvicina il natale e che già mandano le mail con gli auguri e che ti chiedono che cosa farai per natale e che ti chiedono cosa farai dopo natale e poi arriva il capodanno e allora cosa fai e dove vai per capodanno. Di tutto questo fatto finora per fortuna non me ne sono tanto accorto, solo un poco.
martedì 4 dicembre 2012
andar via
Non ho mai ben capito come mai quando rimango fermo a casa per un po' mi prende una voglia di andar via che non mi tengo e dopo un po' che sono via mi viene voglia di tornare a casa e quando sto partendo penso al momento del ritorno e quando sto tornando penso al momento di una nuova partenza.
giovedì 22 novembre 2012
fra poco
"Fra poco rivoluzzioniamo tutto er mondo!", proclamò Ninnarieddu, "rivoluzzioniamo er Colosseo, e San Pietro, e Manhattan e er Verano e li Svizzeri e li Giudii e san Giuvanni..."
"...e tutte cose!", strillò dal basso, saltando, Carulina.
"E famo un ponte aereo Holliwood-Parigi-Mosca! E ce sbronziamo de whisky e de vodka e li tartufi e er caviale e le sigarette estere. E viaggiamo sulle Alfa da corsa e sul bimotore personale..."
Elsa Morante, La Storia, Einaudi, 1974
"...e tutte cose!", strillò dal basso, saltando, Carulina.
"E famo un ponte aereo Holliwood-Parigi-Mosca! E ce sbronziamo de whisky e de vodka e li tartufi e er caviale e le sigarette estere. E viaggiamo sulle Alfa da corsa e sul bimotore personale..."
Elsa Morante, La Storia, Einaudi, 1974
mercoledì 21 novembre 2012
martedì 13 novembre 2012
che poi
Che poi, pensavo ieri, ogni tanto sembra quasi bello andare in ufficio come a volte sembra quasi bello quando fuori piove ma poi queste due cose, andare in ufficio e la pioggia, diventano talmente noiose che mi chiedo come posso aver pensato che erano quasi cose belle.
giovedì 8 novembre 2012
sono un impiegato
Sono un impiegato, un impiegato di concetto che vive nella capitale della spesa improduttiva ricevendo un trattamento adeguato all'incommensurabilità della mia concettosa prestazione. Flaiano diceva: Si viene a Roma in cerca di un lavoro, poi si trova un impiego. Così è accaduto anche a me, e nel periodo dal boom al crack ho capito cosa voleva dire Flaiano, anzi ne ho fatto esperienza. Voleva dire che un impiego è diverso da un lavoro, è qualcosa di molto più sottile e inclassificabile. Roma è prevalentemente una città di impiegati che non hanno trovato un lavoro e che lo Stato mantiene in cambio di prestazioni incontrollabili.
Raffaele La Capria , Contro Roma, Bompiani, 1957
Raffaele La Capria , Contro Roma, Bompiani, 1957
martedì 6 novembre 2012
confesso
Confesso di essere per natura più incline all'ozio che al lavoro; ma di tanto in tanto, visto che la meditazione non rende più dell'ozio, non potevo non cercare - per certe mie difficoltà di cassa - quello che si dice un impiego.
Heinrich Boll, Racconti umoristici e satirici, Bompiani, 2010
Heinrich Boll, Racconti umoristici e satirici, Bompiani, 2010
giovedì 1 novembre 2012
io me ne sono rimasto
Io me ne sono rimasto sulla piattaforma del vagone in assoluta solitudine e in assoluta perplessità. Non è che si trattasse tanto di perplessità, quanto piuttosto di quella angosciosa paura che trapassa nell'amarezza. In fin dei conti, che il diavolo se li porti, mettiamo pure che io sia una gentile pellegrina o un tenente, ma perché fuori dal finestrino era così buio, ditemi un po', voi di grazia? Perché fuori dal finestrino era buio pesto se il treno era partito al mattino e aveva percorso cento chilometri esatti?...Perché?...
Venediky Erofeev, Mosca Petuski e altre opere, Feltrinelli,2003
Venediky Erofeev, Mosca Petuski e altre opere, Feltrinelli,2003
martedì 23 ottobre 2012
Eugenio Montale
Milano, clinica San Pio X, sabato 12 settembre 1981. Muore di vecchiaia alle nove e mezzo della sera. E' ritornato quel che era, fumo. E' vissuto al cinque per cento nella volubile nuvola dei Brissago. Ha atteso una lei nel freddo e nella nebbia di una stazione. Ha passeggiato tossicchiando, comprando giornali innominabili, fumando Giuba poi soppresse dal ministro dei tabacchi, balordo!
Eugenio Baroncelli, Mosche d'inverno, 271 morti in due o tre prose, Sellerio, 2010
Eugenio Baroncelli, Mosche d'inverno, 271 morti in due o tre prose, Sellerio, 2010
mercoledì 17 ottobre 2012
l'altro giorno
L'altro giorno guardavo una tv locale sperando di vedere una cartomante all'opera che era da tanto tempo che non ne vedevo una. La tv locale non ha mandato in onda nessuna cartomante e allora ho cambiato canale varie volte in attesa di vederne una. Dopo aver passato tre ore inutilmente davanti alla televisione ho deciso di spegnere e sono andato nello studio di una cartomante non lontano da casa mia. Era chiuso.
martedì 9 ottobre 2012
piove
Quando piove bisognerebbe starsene a casa e guardare fuori dalla finestra e sperare che non smetta mai di piovere per potere stare in casa a guardare fuori dalla finestra.
Invece mi è toccato uscire.
Invece mi è toccato uscire.
domenica 30 settembre 2012
contributo alla statistica
Su cento persone:
che ne sanno sempre più degli altri - cinquantadue;
insicuri a ogni passo - quasi tutti gli altri;
pronti ad aiutare, purché la cosa non duri molto - ben quarantanove;
buoni sempre, perché non sanno fare altrimenti - quantro, beh, forse cinque;
propensi ad ammirare senza invidia - diciotto;
viventi con la continua paura di qualcuno o qualcosa - settantasette;
dotati per la felicità - al massimo poco più di venti;
innocui singolarmente, che imbarbariscono nella folla - di sicuro più delle metà;
crudeli, se costretti dalle circostanze - è meglio non saperlo neppure approssimativamente;
quelli col senno di poi - non molti di più di quelli col senno di prima;
che dalla vita prendono solo cose - quaranta, anche se vorrei sbagliarmi;
ripiegati, dolenti e senza torcia nel buio - ottantatré prima o poi;
degni di compassione - novantanove;
mortali - cento su cento.
Numero al momento invariato.
Wislawa Szymorska, La gioia di scrivere, Adelphi, 2009
che ne sanno sempre più degli altri - cinquantadue;
insicuri a ogni passo - quasi tutti gli altri;
pronti ad aiutare, purché la cosa non duri molto - ben quarantanove;
buoni sempre, perché non sanno fare altrimenti - quantro, beh, forse cinque;
propensi ad ammirare senza invidia - diciotto;
viventi con la continua paura di qualcuno o qualcosa - settantasette;
dotati per la felicità - al massimo poco più di venti;
innocui singolarmente, che imbarbariscono nella folla - di sicuro più delle metà;
crudeli, se costretti dalle circostanze - è meglio non saperlo neppure approssimativamente;
quelli col senno di poi - non molti di più di quelli col senno di prima;
che dalla vita prendono solo cose - quaranta, anche se vorrei sbagliarmi;
ripiegati, dolenti e senza torcia nel buio - ottantatré prima o poi;
degni di compassione - novantanove;
mortali - cento su cento.
Numero al momento invariato.
Wislawa Szymorska, La gioia di scrivere, Adelphi, 2009
martedì 25 settembre 2012
in un ministero
In un ministero...ma è meglio non dire in quale. Non c'è nulla di più suscettibile dei ministeri, dei reggimenti, degli uffici e, insomma, d'ogni sorta di corpo burocratico. Al giorno d'oggi, ormai, ogni privato cittadino ritiene che in esso venga offesa tutta la società. Pare che molto recentemente un capitano di polizia abbia presentato un esposto in cui dice a chiare note che le istituzioni statali vanno in rovina e che il loro sacro nome viene pronunciato invano. E, come prova delle sue affermazioni, costui ha allegato all'esposto il grosso volume di un'opera letteraria dove, ogni dieci pagine, appare un capitano di polizia, in certi punti persino in stato d'ubriachezza. Perciò, a evitare ogni seccatura, sarà meglio chiamare un ministero il ministero di cui si tratta.
Gogol, I racconti di Pietroburgo, Garzanti, 1999
Gogol, I racconti di Pietroburgo, Garzanti, 1999
venerdì 21 settembre 2012
raccomando
Raccomando di non prestare questo libro a nessuno, salvo che non sia povero come l'autore, il quale ha bisogno di venderlo e di non farlo leggere gratis. Chi lo trova utile e piacevole non si dimentichi di raccomandarlo ad amici e compagni affinché lo comperino.
Arturo Frizzi, Vita e opere di un ciarlatano, Silvana Editoriale, 1979
Arturo Frizzi, Vita e opere di un ciarlatano, Silvana Editoriale, 1979
martedì 18 settembre 2012
verità
Ieri pensavo che tutti hanno sempre un sacco di verità da raccontare e tutti raccontano queste verità che sono in contraddizione con le verità degli altri. A me piace raccontare un sacco di balle ma spesso vengono confuse con delle verità, le mie. No cari signori, non voglio raccontare verità ma solo balle. Ecco.
venerdì 14 settembre 2012
una storia
Una storia accade e scompare e nessuna la racconta. Poi da qualche parte vive una persona, i pomeriggi sono caldi e inutili, e arriva Natale e quella persona muore, e al cimitero si aggiungerà una nuova lapide con un nome. Due o tre persone, un marito, un fratello, una madre, ancora per qualche anno portano nella testa quella luce, quella leggenda, e poi anche loro muoiono. Per i figli non è più che un vecchio film, l'alone sfocato di un viso dissolto. I nipoti non ne sanno nulla. E gli altri dimenticheranno. Di quella persona non resta più nè il nome, nè il ricordo, nè il vuoto. Nulla.
Josef Skvorecky, Il sax basso, Adelphi, 1993
Josef Skvorecky, Il sax basso, Adelphi, 1993
lunedì 3 settembre 2012
ancora una volta
Ancora una volta, mi si invita a parlare di Roma. E' un argomento che mi fa del male. Roma è per me un pozzo senza fondo di ricordi. Ricordi anche belli, certo: bellissimi e dolcissimi. Ma non c'è dubbio che il senso, o piuttosto il gusto finale di tutti questi ricordi, belli, men belli e brutti, sia amaro, sia disperato. Vorrei trovare una parola che da sola significasse: umiliazione, frustrazione, rimorso, rimpianto, rancore...Chissà, la parola più vicina al complesso ancora ansioso e sempre doloroso di tutto quanto provo per Roma è forse questa: fallimento.
Mario Soldati, Contro Roma, Bompiani, 1975
Mario Soldati, Contro Roma, Bompiani, 1975
lunedì 27 agosto 2012
lunedì 20 agosto 2012
il fatto è
Il fatto è che, durante una cena, mi resi conto che gran parte della serata se ne andava in analisi ermeneutiche. L'ultimo film visto, l'ultimo libro letto, l'ultimo episodio politico, venivano analizzati come se si affrontasse un esame di scienza della comunicazione. Eravamo ragazzini con poca esperienza di vita che pretendevano di riempire quel vuoto parlandosi addosso. Come attraversare la strada con le parole, prima ancora che con i nostri passi.
Antonio Pascale, S'è fatta ora, Beat, 2011
Antonio Pascale, S'è fatta ora, Beat, 2011
venerdì 17 agosto 2012
martedì 14 agosto 2012
mercoledì 8 agosto 2012
vacanze
E quando poi torni dalle vacanze quelli che non ti hanno incontrato prima della partenza ti chiedono, Dove sei andato in vacanza? Io gli rispondo e mi dicono, Bello. Che poi sono gli stessi che mi hanno chiesto dove andavo in vacanza prima di partire e avevano detto, Bello.
giovedì 2 agosto 2012
lunedì 30 luglio 2012
ho visto
Ho visto che al teatro Argentina, in largo di Torre Argentina
c’è uno spettacolo di Beckett. Ho visto che al teatro Argentina danno
Aspettando Godot, allora chiamo il teatro e mi dicono che ci sono ancora pochi
biglietti liberi e ci sono disponibili solo due giorni perché per gli altri
dieci giorni di spettacolo c’è il tutto esaurito. Mi dicono che il biglietto
costa tanto ma è una compagnia importante che mette in scena un testo
importante in un importante teatro romano. Mi convincono e decido di comprare
il biglietto. In fondo ho sempre letto e amato Beckett quindi non posso
perdermi una compagnia importante che mette in scena un testo importante in un
importante teatro romano.
Arrivo al teatro con tre quarti d’anticipo per paura di fare
tardi, non ho mai capito perché devo presentarmi sempre molto prima dell’inizio
di qualsiasi cosa vada a vedere, teatro, cinema, sport, concerti, letture,
presentazioni, mostre. Arrivo sempre almeno mezz’ora prima e non so mai come
fare a passare il tempo.
C’è molta gente di fronte al teatro, tutti ben preparati per
la serata, ci sono molte vecchie in pelliccia, dei giovani con le scarpe di
pitone, molti vecchi con il pastrano, dei giovani con le clark, vari vecchi col
bastone, dei giovani con i caschi in mano.
Il teatro è molto bello, fa un caldo che si muore, ma si sa,
le persone anziane hanno bisogno di stare al caldo.
Inizia lo spettacolo, Vladimiro e Estragone nell’attesa
parlano, urlano, dormono, mangiano, ridono, piangono. Anch’io aspetto Godot.
Non c’è nulla di assurdo in tutto questo, penso, tutte le
parole di Beckett hanno un senso denso, chiaro, definito. Il pubblico del
teatro Argentina non la pensa come me, a volte ho l’impressione che il pubblico
del teatro Argentina non pensi affatto.
Non sopporto la gente che ride a sproposito, soprattutto a
teatro. Non capisco cosa ci sia da ridere quando Didì e Gogo pensano di
impiccarsi, a me viene da piangere mentre ascolto Beckett, e questa platea del
cazzo ride e il loro riso cretino insieme all’angoscia di Beckett mi rendono la
situazione insopportabile. Voglio andare a casa a leggere Beckett da solo senza
tutta questa gente intorno, ma decido di rimanere. Gente che ride senza saperne
la ragione, gente che va a teatro per il solo fatto che è abituata ad andare a
teatro ma del teatro in generale, e in particolare del teatro di Beckett, non
capisce nulla. E forse anche il teatro stesso si è adeguato alle persone che lo
frequentano, rendendo tutto ridicolo, perché il pubblico ha bisogno di questo
ansiogeno senso del ridicolo e questo il teatro propone e il pubblico esce
felice.
Finito lo spettacolo applaudo, osservo con attenzione le
facce delle persone felici che si alzano dalle poltrone.
Esco, allora andiamo?, mi chiedo.
Andiamo, mi rispondo, tanto Godot non viene.
lunedì 23 luglio 2012
ffiaba
C'era una volta un uomo che si chiamava Semenov. Una volta Semenov andò a passeggio e perse il fazzoletto da naso. Semenov si mise a cercare il fazzoletto da naso e perse il berretto. Si mise a cercare il berretto e perse la giubba. Si mise a cercare la giubba e perse gli stivali.
"Be'," disse Semenov "finirò per perdere tutto. E' meglio che me ne torni a casa".
Semenov si avviò verso casa e si smarrì.
"No," disse Semenov "è meglio che mi sieda per un po'".
Semenov si sedette su una piccola pietra e si addormentò.
Daniil Charms, Casi, Adelphi, 2008
"Be'," disse Semenov "finirò per perdere tutto. E' meglio che me ne torni a casa".
Semenov si avviò verso casa e si smarrì.
"No," disse Semenov "è meglio che mi sieda per un po'".
Semenov si sedette su una piccola pietra e si addormentò.
Daniil Charms, Casi, Adelphi, 2008
martedì 17 luglio 2012
scoprendosi
Scoprendosi senza soldi e come nudo davanti all'esistenza, gli veniva voglia di bruciare la casa o alternativamente di morire secco. Così grande e grosso che faceva soggezione a tutti, era l'uomo più pungolato da nostra sorella Angoscia.
Gianni Celati, Costumi degli italiani 2, Quodlibet, 2008
Gianni Celati, Costumi degli italiani 2, Quodlibet, 2008
mercoledì 11 luglio 2012
tutti
Tutti i giorni in autobus per andare al lavoro, tutti che mi fissano con lo stesso sguardo, tutti che sembrano pensare che li fisso con lo stesso sguardo. Tutti i giorni sull'autobus per tornare a casa dopo il lavoro, tutti che mi fissano con lo stesso sguardo, tutti che sembrano pensare che li fisso con lo stesso sguardo. Era meglio quando andavo al lavoro in bicicletta.
martedì 3 luglio 2012
nessuno si lamenta
Nessuno si lamenta in modo così fastidioso quanto l'imprenditore veneto, e vicentino in particolare, che si lamenta sempre e comunque, indipendentemente da come vadano effettivamente le cose. E sempre con quel tono, con quell'atteggiamento, insieme arrogante e servilmente umile, che la lingua, o anche solo la cadenza veneta, e vicentina in particolare, asseconda così bene. Nessuno al mondo si lamenta in modo così fastidioso come i vicentini, penso, e, tra i vicentini, nessuno si lamenta tanto spesso e in modo tanto fastidioso di come si lamentano, sempre e di continuo, i cosiddetti imprenditori vicentini, che sono i campioni riconosciuti del lamento alla vicentina.
Vitaliano Trevisan, Il ponte, Einaudi, 2007
Vitaliano Trevisan, Il ponte, Einaudi, 2007
giovedì 28 giugno 2012
i giornali
I giornali, i telegiornali, i radiogiornali, i settimanali, i mensili, le donne e gli uomini al mercato, nei bar, negli uffici, tutti parlano solo di questo maledetto caldo che ci dovrebbe impedire di fare qualsiasi cosa. E poi i danni all'agricoltura, i danni ai vecchi e ai bambini, gli incendi, come se fosse il caldo il responsabile degli incendi, gli allarmi della protezione civile, i livelli. Non ho mai capito come cazzo stabiliscono i livelli di allerta. Non ho mai capito perché in Sicilia non c'è sempre il massimo livello, non ho mai capito come farebbero almeno metà degli abitanti del continente africano a vivere viste le temperature che si raggiungono da quelle parti. Non si può certo vivere tutta una vita al massimo livello di allerta, questo è possibile solo per qualche settimana all'anno ed è proprio quello che capita in questa città.
sabato 23 giugno 2012
main street
Main street dopo lo spettacolo, mezzanotte: luce al neon e una nebbiolina leggera, bettole e cinema aperti tutta la notte. Negozi di merce usata e locali di filippini, dove i cocktail costano quindici centesimi e gli show si succedono uno all'altro, ma io li ho visti tutti, innumerevoli volte, e, per vederli, ho speso un mucchio di soldi del Colorado. Mi sentii come un assetato cui nessuno dà da bere e mi incamminai verso in quartiere messicano, provando una sensazione di sordo malessere.
Jonh Fante, Chiedi alla polvere, Einaudi, 2004
Jonh Fante, Chiedi alla polvere, Einaudi, 2004
lunedì 18 giugno 2012
e ora caldo
Da ieri fa caldo. Ieri non ho acceso la televisione. Stasera ho deciso che guarderò i telegiornali, non vedo l'ora di guardare tutti i servizi che faranno sul caldo che è iniziato ieri.
mercoledì 13 giugno 2012
eppure
Eppure a questi giorni, per certi aspetti così ripetitivi, non so rinunciare. Intanto perché è casa mia. Io ho imparato a vivere qui e non c'è angolo che non mi emozioni. Tu la chiameresti poetica dei gerani. Io invece trovo insopportabile il vezzo di considerare l'infanzia e l'adolescenza come malattie di cui si è avuta la fortuna di guarire. Credo, al contrario, che solo ricordando le delusioni di allora si possa capire perché si dorme male, si è ansioni senza motivo, insoddisfatti del lavoro che pure si è scelto, segretamente convinti che persino la più ragionevole delle convivenze sia fonte di insostenibili frustrazioni.
Gilberto Severini, Congedo ordinario, Playground, 2011
Gilberto Severini, Congedo ordinario, Playground, 2011
lunedì 11 giugno 2012
incipit
Ogni tanto scrivo
Anche prima ogni tanto scrivevo
Credo di aver sempre avuto questo problema
Problema?
Forse una necessità più che un problema
Non lo so che cosa sia,
necessità
problema
vizio
abitudine
noia
Scrivo
Ma non tutto
Scrivo quello che devo fare
Parola per parola
Con un certo ordine
Con una certa attenzione ai particolari
Non scrivo cose difficili
Non scrivo di filosofia
Non sono uno scrittore
Scrivo e basta
Penso che scrivere sia un’attività importante
Poi dipende da cosa uno scrive
Si può scrivere tutto e il contrario di tutto
Non ho mai scritto molto
Poche cose
Ma importanti
Quella cosa l’ho scritta
Ne sono certo
Rischiavo di dimenticarmelo
Scrivo per ricordare quello che devo fare
E mi sono ricordato quello che dovevo fare
Sì
(Scrive)
calzolaio
bollette
spesa
piante del balcone
piante del giardino
spazzatura, carta, umido, vetro/plastica
acquario
cane
gatti
lunedì 4 giugno 2012
io e lei
Mi sveglio sul divano con la televisione ancora accesa e con i vestiti addosso. Ho un leggero mal di schiena. Mi capita spesso negli ultimi tempi.
Lei arriva subito, come al solito me ne accorgo solo all’ultimo momento, quando ormai è di fronte a me, seduta sul pavimento.
Hai dormito anche
stanotte qui?, mi chiede.
Non lo vedi?!,
rispondo.
Hai fatto di nuovo
quel brutto sogno?
Penso di sì, ora
non ricordo bene, ma mi pare proprio di sì. Sempre la solita
immagine, io che cammino lungo l’argine di un fiume e un grosso
cane che mi viene incontro. Io che mi metto paura e che cerco
qualcosa per difendermi, una pietra, un bastone ma non trovo
niente. Poi, prima che il cane si avvicini, mi sveglio.
Abbiamo un problema.
Anzi hai un problema, mi pare evidente, i sogni hanno sempre un
significato, e in particolare questo, ma non vuoi affrontare la
cosa!
Problema? Di che
problema parli. Sto benissimo solo che ogni tanto faccio questo
sogno. Credi di conoscere i miei problemi solo perché ti racconto
certe cose?
Vabbè ho capito,
non ti va parlare.
Non è questo, non
ho nulla di cui parlare con te in questo momento, tutti i giorni a
chiedermi di quel maledetto sogno.
Mi alzo dal divano,
rimango per qualche secondo immobile, lei rimane immobile, vado
verso l’acquario, non sopporto gli acquari penso, ma questo me l’ha
regalato Chiara prima che scoprisse che odio gli acquari e
soprattutto quegli stupidi pesci che ci nuotano dentro. Guardo il
pesce palla, anche lui sembra fissarmi, distolgo subito lo sguardo,
capisco che ha fame, metto del cibo nauseabondo nell’acqua.
Ritorno a sdraiarmi, è molto presto penso, anche se in realtà non so che ore sono, il lavoro può di certo aspettare. Lei è sempre nella stessa posizione di fronte a me, seduta.
Pensi di fare
qualcosa oggi?, mi chiede.
Che vuoi dire? Certo
che penso di fare qualcosa, devo andare a lavorare e devo passare a
fare la spesa, non c’è più nulla in casa.
Ecco bravo,
ricordati di comprarmi il tonno, è da molto tempo che te lo chiedo,
poi oggi pomeriggio dovrebbe passare anche la mia nuova amica del
piano di sotto.
Mi rialzo dal divano,
apro la credenza, guardo che cosa c’è. Ci trovo solo cibo per
animali, croccantini per cani al gusto di maiale, croccantini per
gatti al salmone, sementi per uccelli, cibo per pesci, bocconcini per
serpenti al gusto di topo, verdure liofilizzate per tartarughe, sia
di acqua che di terra, tutti delle migliori marche, tutto in un
ordine che non mi appartiene.
Prendo un pezzo di carta e una penna. La penna non funziona, non ci sono altre penne nei paraggi, va a finire sempre così, non faccio la lista della spesa e finisco per comprare cose del tutto inutili.
Mi rimetto sul divano. Lei è sempre nella stessa posizione, seduta di fronte a me.
Allora? Non fai la
lista della spesa? Non fai nulla oggi? Non mi degni nemmeno in uno
sguardo, non ti ho fatto mica nulla. Mi sembri un po’ strano, sono
sicura che stai ripensando al sogno, se vuoi ne parliamo
Forse c’è
qualcosa che ti sfugge. O forse c’è qualcosa che sfugge a me. Ho
fame adesso. Non c’è nulla da mangiare in questa casa, eppure ero
sicuro di aver fatto la spesa.
Di certo c’è
qualcosa che non va. Te lo sto dicendo da quando ti sei svegliato,
se vuoi ne parliamo.
Non voglio più
parlare di quel maledetto sogno. La devi smettere!
Sono solo una gatta
premurosa, la migliore che ti potesse capitare, e sai che odio i
cani, anche in sogno.
mercoledì 30 maggio 2012
ma certo
Lui: Ma certo. E’ da un po’ che non ti vedo ma non lo so nemmeno io. Sono un po’ preoccupato perché potrei incontrare quella persona.
Lei: quale persona? Il mostro?
Lui: quale mostro? Non conosco nessun mostro.
Lei: non ho detto che conosci mostri. Ti ho solo chiesto se temi di incontrare il mostro.
Lui: Di Firenze?
Lei:no, quello non c’è più. Pensavo al mostro di Lochness.
Lui: ma quello sta dentro al lago. Come faccio a incontrarlo per strada?
Lei: potresti cadere in un lago. Il famoso lago di Firenze
Lui: non ci sono laghi a Firenze. C’è solo il lago di Bilancino, e là dentro c’è di sicuro un mostro, ma io non sono a Firenze o al lago di Bilancino, sono a Roma.
Lei: quindi hai paura di incontrare il mostro di Roma?
Lui: No. Però vorrei incontrarti tra cent’anni.
Lei: E se incontrassi Ron?
Lui: abita a Roma?
Lei: certo.
Lui: certo che si o certo che no?
Lei: certo che certo.
Lui: ti posso richiamare tra venti minuti?
Lei: devi guardare “oltre la siepe”?
Lui: non ci sono siepi davanti a casa quindi non posso guardare oltre.
Lei: potresti immaginarla e guardare oltre.
Lui: è buio ora. Potrei immaginare tutto ma non mi va. Domani ci provo, poi ti dico. Ora voglio guardare Saudade du soleil.
Lei: è già ora? Ah si hai ragione. Ci sentiamo tra venti minuti.
Lei: quale persona? Il mostro?
Lui: quale mostro? Non conosco nessun mostro.
Lei: non ho detto che conosci mostri. Ti ho solo chiesto se temi di incontrare il mostro.
Lui: Di Firenze?
Lei:no, quello non c’è più. Pensavo al mostro di Lochness.
Lui: ma quello sta dentro al lago. Come faccio a incontrarlo per strada?
Lei: potresti cadere in un lago. Il famoso lago di Firenze
Lui: non ci sono laghi a Firenze. C’è solo il lago di Bilancino, e là dentro c’è di sicuro un mostro, ma io non sono a Firenze o al lago di Bilancino, sono a Roma.
Lei: quindi hai paura di incontrare il mostro di Roma?
Lui: No. Però vorrei incontrarti tra cent’anni.
Lei: E se incontrassi Ron?
Lui: abita a Roma?
Lei: certo.
Lui: certo che si o certo che no?
Lei: certo che certo.
Lui: ti posso richiamare tra venti minuti?
Lei: devi guardare “oltre la siepe”?
Lui: non ci sono siepi davanti a casa quindi non posso guardare oltre.
Lei: potresti immaginarla e guardare oltre.
Lui: è buio ora. Potrei immaginare tutto ma non mi va. Domani ci provo, poi ti dico. Ora voglio guardare Saudade du soleil.
Lei: è già ora? Ah si hai ragione. Ci sentiamo tra venti minuti.
giovedì 24 maggio 2012
il testamento di penni
Penni è nera. Tutta, completamente, nera. E’ la più nera di
tutti e fa cose che sembrano strane.
Penni mangia tutto
quello che trova, scarpe, libri, giornali, lenzuola. Mangia anche croccantini e
riso con carne di manzo. Preferisce il riso con la carne ma in genere non fa
tanti complimenti.
Penni piscia
dappertutto, soprattutto sopra i tappeti, soprattutto appena rientra in casa
dopo che è uscita a fare la passeggiata con la padrona per pisciare. Ma quale
padrona? Penni non ha padroni, è un cane autonomo, Penni scappa appena può e
non torna, se non dopo qualche ora, e appena rientra in casa piscia.
Penni non sta mai ferma, dorme poco, soffre d’insonnia,
gironzola per casa e mangiucchia quello che trova, ogni tanto piscia.
Penni non sta mai zitta. Parla, ha sempre molte cose da
dire, di certo pensa delle cose che noi umani non siamo in gradi di afferrare,
ma gli altri cani la capiscono benissimo.
E’ nata da qualche parte a Roma da genitori ignoti, è stata
adottata da una famiglia. Tutti si sono subito resi conto che è stata Penni ad
adottare loro.
Penni ama andare al mare ma non fa il bagno, ama andare in
montagna ma preferisce rincorrere le mucche piuttosto che andar per sentieri,
ama la campagna ed è amica delle pecore.
Penni parla, organizza, vede, pensa. E’ diventata sindaco
del parco dove si incontra con gli altri cani, ha lottato per allargare lo
spazio a loro dedicato, ha costretto il Comune di Roma a mettere una fontanella
nuova proprio dentro al parco.
Penni non guida la macchina, si fa accompagnare dalla
padrona, Penni vuole sempre andare da qualche parte, è piena di impegni. Deve
incontrare questo o quello, deve andare a salutare le pecore in campagna o le
mucche in montagna.
Penni vuole costruire un mondo a misura di cane, un mondo
dove i cani possano vivere in pace e possano pisciare dove gli pare. Non è sola
in questa lotta, ha coinvolto almeno venti cani conosciuti al parco.
I padroni iniziano a preoccuparsi. Sanno che Penni la vede
lunga.
Penni non sa scrivere, parla di sé in terza persona e ha
dettato queste parole.
lunedì 21 maggio 2012
ecco
Ecco, pensai, adesso sono un uomo. Avrò avuto quindici, sedici anni, vivevo con il cazzo in mano, in un quartiere operaio. La maggior parte dei condomini erano, come la mia famiglia, terroni trapiantati nella fertile terra del Nord: perfetta carne da capannone di fabbrica, bestie allucinate da dodici ore quotidiane di lavoro, bestie che tornavano a casa solo per mangiare e fottersi, per ingravidare la moglie. Il condominio era come una fica in perenne filiazione, una fica spalancata a cagare figli.
Emanuele Tonon, Il nemico, ISBN, 2009
Emanuele Tonon, Il nemico, ISBN, 2009
mercoledì 16 maggio 2012
tonalità
Lei: Sta iniziando a piovere, te l’ho detto che sarebbe piovuto. Domani
invece ci sarà il sole, che ne dici se invece di stasera ci vediamo domani che
c’è sole. E’ molto meglio vedersi con il sole che con la pioggia, la pioggia mi
mette una tristezza addosso, e pensa che c’è qualche pazzo che dice che la pioggia
è bella, che la pioggia ha un suo perché, ma che cosa vuol dire non lo so, non
l’ho mai capito, è un’espressione che non ha senso, avere un perché, ma che
roba è mai quella? E io odio la pioggia, odio, bagnarmi, odio il grigio.
Lei: Odi il grigio? E che ci fai in una città come questa?
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